Che
cosa spinge uno scrittore ad usare uno pseudonimo? Saranno molte le ragioni e
intanto dovrei dare conto anch’io della mia scelta che è in parte pudore, un
carattere poco incline ad esporsi e soprattutto il senso della split nature
letteraria.
Intanto
il nome, Giordano. Tecnicamente sarebbe il mio secondo nome. Ogni tanto in
famiglia spunta fuori, ma grazie a dio non è stato dato all’anagrafe, perché
come sanno tutti quelli che ne hanno più di uno, avere più nomi per le pratiche
burocratiche è talvolta una rottura di scatole. Ti porti dietro un nome che non
usi, che nessuno conosce, ma che viene fuori con prepotenza, ogni volta che
devi firmare un documento, come il corpo morto della barca.
Vezzani
invece non mi apparteneva, ma le ragioni del cuore mi hanno indotto a
servirmene, per sentirmi in qualche modo più vicino a una persona per me
davvero speciale. Questa persona, dell’ambiente letterario, mi ha aiutato a
pensare di essere io stesso uno scrittore. Ancora adesso cerco di seguire l’esempio
di chi, pur in possesso di una personale concezione ideologica del vivere
sociale, non aveva pregiudizi nei confronti di nessuno scrittore che si
sforzava di comprendere sempre all’interno della sua stessa espressione
artistica. La consapevolezza che lo scrittore anche il più militante, con
questo mai esente dalle sue responsabilità, si ponga comunque in un livello “a
parte” dove incontrare l’altro sia sempre possibile, era una delle cose che più
mi piacevano.
Lo
scrittore è uno che deve essere libero, sempre, anche di sbagliare, perché la
sua arte sarà utile, a prescindere dall’esegesi.
Nella
Storia della Letteratura ci sono molti esempi illustri. Vi risparmio elenchi.
Scrittori
si sono nascosti letteralmente dietro nomi che dovevano proteggerli da pericoli
reali o soltanto da pregiudizi, come quando chi scrive usa il genere di sesso
opposto (George Sand). Altri hanno usato un riparo dalle critiche, non volendo
esporsi e magari bruciare l’immagine pubblica di sé insieme a quella del
romanziere.
Ci
sono poi coloro che, come ho accennato all’inizio, adottano uno o più
pseudonimi a seconda di ciò che scrivono, per non portarsi dietro da un genere
all’altro le scomode produzioni delle altre personalità letteraria (un po’ come per Joanne Kathleen Rowling/ Robert Galbraith).
Per
alcuni forse è stato un vezzo, soprattutto se non coperto dall’anonimato, per
altri una reticenza per timidezza al limite del patologico. Come tutti gli
alias lo pseudonimo nell’anonimato può suicidarsi in ogni momento e sparire
nell’oblio senza pesare sulla biografia dello scrittore. Da questo punto di
vista in effetti presenta qualche vantaggio se sei nessuno e non vuoi rischiare
di fare brutte figure. L’altra faccia della medaglia è che per non rimetterci
la faccia, mi si scusi il bisticcio, si rinuncia a comparire come persona
reale, ai contatti fisici, agli “onori”, così importanti per la maggior parte
degli esseri umani. In questo caso l’artista tiene tanto alla sua privacy da
rinunciare a tutto questo, pur volendo lanciare pensieri che comunichino
utilitaristicamente con il resto della sua specie.
Che
dire? Cosa c’è di sbagliato in questo? Nulla, visto che gli pseudonimi
aumentano anche tra i selezionati allo Strega. Chi vuole trovarsi un nome lo
faccia. Si trovi una bella motivazione e lo faccia. Tutto qua.