martedì 2 aprile 2019

Scrivere usando uno pseudonimo



Che cosa spinge uno scrittore ad usare uno pseudonimo? Saranno molte le ragioni e intanto dovrei dare conto anch’io della mia scelta che è in parte pudore, un carattere poco incline ad esporsi e soprattutto il senso della split nature letteraria.
Intanto il nome, Giordano. Tecnicamente sarebbe il mio secondo nome. Ogni tanto in famiglia spunta fuori, ma grazie a dio non è stato dato all’anagrafe, perché come sanno tutti quelli che ne hanno più di uno, avere più nomi per le pratiche burocratiche è talvolta una rottura di scatole. Ti porti dietro un nome che non usi, che nessuno conosce, ma che viene fuori con prepotenza, ogni volta che devi firmare un documento, come il corpo morto della barca.
Vezzani invece non mi apparteneva, ma le ragioni del cuore mi hanno indotto a servirmene, per sentirmi in qualche modo più vicino a una persona per me davvero speciale. Questa persona, dell’ambiente letterario, mi ha aiutato a pensare di essere io stesso uno scrittore. Ancora adesso cerco di seguire l’esempio di chi, pur in possesso di una personale concezione ideologica del vivere sociale, non aveva pregiudizi nei confronti di nessuno scrittore che si sforzava di comprendere sempre all’interno della sua stessa espressione artistica. La consapevolezza che lo scrittore anche il più militante, con questo mai esente dalle sue responsabilità, si ponga comunque in un livello “a parte” dove incontrare l’altro sia sempre possibile, era una delle cose che più mi piacevano.
Lo scrittore è uno che deve essere libero, sempre, anche di sbagliare, perché la sua arte sarà utile, a prescindere dall’esegesi.
Nella Storia della Letteratura ci sono molti esempi illustri. Vi risparmio elenchi.
Scrittori si sono nascosti letteralmente dietro nomi che dovevano proteggerli da pericoli reali o soltanto da pregiudizi, come quando chi scrive usa il genere di sesso opposto (George Sand). Altri hanno usato un riparo dalle critiche, non volendo esporsi e magari bruciare l’immagine pubblica di sé insieme a quella del romanziere.
Ci sono poi coloro che, come ho accennato all’inizio, adottano uno o più pseudonimi a seconda di ciò che scrivono, per non portarsi dietro da un genere all’altro le scomode produzioni delle altre personalità letteraria (un po’ come per Joanne Kathleen Rowling/ Robert Galbraith).
Per alcuni forse è stato un vezzo, soprattutto se non coperto dall’anonimato, per altri una reticenza per timidezza al limite del patologico. Come tutti gli alias lo pseudonimo nell’anonimato può suicidarsi in ogni momento e sparire nell’oblio senza pesare sulla biografia dello scrittore. Da questo punto di vista in effetti presenta qualche vantaggio se sei nessuno e non vuoi rischiare di fare brutte figure. L’altra faccia della medaglia è che per non rimetterci la faccia, mi si scusi il bisticcio, si rinuncia a comparire come persona reale, ai contatti fisici, agli “onori”, così importanti per la maggior parte degli esseri umani. In questo caso l’artista tiene tanto alla sua privacy da rinunciare a tutto questo, pur volendo lanciare pensieri che comunichino utilitaristicamente con il resto della sua specie.
Che dire? Cosa c’è di sbagliato in questo? Nulla, visto che gli pseudonimi aumentano anche tra i selezionati allo Strega. Chi vuole trovarsi un nome lo faccia. Si trovi una bella motivazione e lo faccia. Tutto qua.




La Casa delle Madri di Daniele Petruccioli

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