La necessità di dire la mia su quegli anni è stata la prima
spinta, senza dubbio. Mi pareva che allora in Italia ci fossero troppe
mistificazioni del 68, liquidato magari come mito scomodo, oppure una eccessiva
focalizzazione sull’aspetto politico che ha prodotto in alcuni Stati gli anni
di piombo. Purtroppo la nostra Storia è stata anche quella, ma non solo. Soprattutto
il nostro Paese è caratterizzato da un forte provincialismo che ha stemperato in
esiti diversi gli stimoli, la voglia di cambiamento di un mondo migliore, che
attraversavano allora l’intero pianeta.
Per chi viveva in periferia tutta questa idea del mondo
sottosopra poteva non arrivare neanche lontanamente a sfiorare le coscienze.
Arrivavano comunque informazioni, atteggiamenti, mode, alcuni aspetti della
contestazione, magari solo superficiali, o solo legati all’apparire. Tuttavia
non si può generalizzare e creare tipologie di comodo, perché comunque dovunque
poteva esserci qualcuno che attraverso i media drizzava le antenne, recepiva quel
senso di inquietudine che lo faceva empatizzare con altri coetanei lontani
migliaia di miglia. Per me, che giovanissimo venivo appunto dalla periferia,
sbarcare in una grande città al centro degli avvenimenti in quegli anni, è
stato come uno schiaffo a tutte le visioni precostituite del vivere sociale che
mi ero immaginato nell’adolescenza.
Dal punto di vista diacronico molte cose sono successe,
talmente tante che la percezione a distanza di anni è di una grande confusione.
Questo non nel senso di incertezza nelle idee, semmai di eccesso, di rumore
informante. In realtà ognuno sapeva benissimo in cosa credere.
Una seconda spinta mi è venuta da quelli più giovani di me
che erano convinti che avessi vissuto, come tutti i giovani sessantottini,
chissà quali esperienze, dall’amore libero alle droghe psichedeliche. Nel
romanzo ci sono avventure che un ragazzo medio, di estrazione sociale media,
avrebbe forse potuto esperire, ma forse anche no. Pur facendo uno sforzo di
memoria documentale, mi pare che le vite eccezionali fossero rare allora come
lo sono oggi. Alcuni fatti nel romanzo sono ricordi di ricordi e racconti all’ennesimo
grado e tutti gli altri frutto della creatività.
Il romanzo si snoda grosso modo in tre periodi: quello prima
dell’esperienza politica, quello universitario dei protagonisti in piena
rivolta studentesca e quello della maturità di adulti.
Ci sono state diverse stesure e non sono affatto sicuro che
non si possa ancora metterci mano. La prima era scritta in un doppio registro
linguistico. Da una parte mi ero sforzato di far parlare i personaggi con un
linguaggio giovanile che li caratterizzasse in modo univoco, dall’altra di sottolineare l'uso comune del politichese e il sinistrese in
particolare, che imperversavano in certi ambienti, come quello che, ad esempio, ha prodotto
pagine bellissime sul Manifesto. Purtroppo mi sono reso conto quasi
subito che chiunque avrebbe preferito leggere l’elenco telefonico di New York piuttosto che quel malloppo informe e contorto quanto il gruppo del Laocoonte, senza però
averne la stessa armoniosa bellezza.
In un secondo momento il dattiloscritto è stato visto (letto
spero) da Fernanda Pivano, la quale molto gentile come al solito mi ha incoraggiato
e consigliato di lavorarci ancora su prima di trovarmi una casa editrice. Solo
per averlo promesso a lei ho deciso di tirare fuori dal cassetto questo
romanzo. Spero di assolvere così ad un compito cui non potevo sottrarmi e ora
finalmente di potermi dedicare ad altra scrittura.