venerdì 15 marzo 2019

Genesis. Come questo romanzo è stato pensato.


     La necessità di dire la mia su quegli anni è stata la prima spinta, senza dubbio. Mi pareva che allora in Italia ci fossero troppe mistificazioni del 68, liquidato magari come mito scomodo, oppure una eccessiva focalizzazione sull’aspetto politico che ha prodotto in alcuni Stati gli anni di piombo. Purtroppo la nostra Storia è stata anche quella, ma non solo. Soprattutto il nostro Paese è caratterizzato da un forte provincialismo che ha stemperato in esiti diversi gli stimoli, la voglia di cambiamento di un mondo migliore, che attraversavano allora l’intero pianeta.
     Per chi viveva in periferia tutta questa idea del mondo sottosopra poteva non arrivare neanche lontanamente a sfiorare le coscienze. Arrivavano comunque informazioni, atteggiamenti, mode, alcuni aspetti della contestazione, magari solo superficiali, o solo legati all’apparire. Tuttavia non si può generalizzare e creare tipologie di comodo, perché comunque dovunque poteva esserci qualcuno che attraverso i media drizzava le antenne, recepiva quel senso di inquietudine che lo faceva empatizzare con altri coetanei lontani migliaia di miglia. Per me, che giovanissimo venivo appunto dalla periferia, sbarcare in una grande città al centro degli avvenimenti in quegli anni, è stato come uno schiaffo a tutte le visioni precostituite del vivere sociale che mi ero immaginato nell’adolescenza.
     Dal punto di vista diacronico molte cose sono successe, talmente tante che la percezione a distanza di anni è di una grande confusione. Questo non nel senso di incertezza nelle idee, semmai di eccesso, di rumore informante. In realtà ognuno sapeva benissimo in cosa credere.
     Una seconda spinta mi è venuta da quelli più giovani di me che erano convinti che avessi vissuto, come tutti i giovani sessantottini, chissà quali esperienze, dall’amore libero alle droghe psichedeliche. Nel romanzo ci sono avventure che un ragazzo medio, di estrazione sociale media, avrebbe forse potuto esperire, ma forse anche no. Pur facendo uno sforzo di memoria documentale, mi pare che le vite eccezionali fossero rare allora come lo sono oggi. Alcuni fatti nel romanzo sono ricordi di ricordi e racconti all’ennesimo grado e tutti gli altri frutto della creatività.
     Il romanzo si snoda grosso modo in tre periodi: quello prima dell’esperienza politica, quello universitario dei protagonisti in piena rivolta studentesca e quello della maturità di adulti.
     Ci sono state diverse stesure e non sono affatto sicuro che non si possa ancora metterci mano. La prima era scritta in un doppio registro linguistico. Da una parte mi ero sforzato di far parlare i personaggi con un linguaggio giovanile che li caratterizzasse in modo univoco, dall’altra di sottolineare l'uso comune del politichese e il sinistrese in particolare, che imperversavano in certi ambienti, come quello che, ad esempio, ha prodotto pagine bellissime  sul Manifesto. Purtroppo mi sono reso conto quasi subito che chiunque avrebbe preferito leggere l’elenco telefonico di New York piuttosto che quel malloppo informe e contorto quanto il gruppo del Laocoonte, senza però averne la stessa armoniosa bellezza.
     In un secondo momento il dattiloscritto è stato visto (letto spero) da Fernanda Pivano, la quale molto gentile come al solito mi ha incoraggiato e consigliato di lavorarci ancora su prima di trovarmi una casa editrice. Solo per averlo promesso a lei ho deciso di tirare fuori dal cassetto questo romanzo. Spero di assolvere così ad un compito cui non potevo sottrarmi e ora finalmente di potermi dedicare ad altra scrittura.




domenica 10 marzo 2019

Self-publishing, scrittori fai da te, auto pubblicati, indipendenti et alii




Questo blog per ora è così poco frequentato da permettermi di scrivere un po’ a random. Me la canto e me la suono insomma. Per forza di cose, visto che anch’io ho deciso di fare questa esperienza, mi trovo a frequentare pagine dove viene trattato l’argomento degli scrittori indie. Ultimamente mi è capitata la risposta arrogante di un giornalista, di quelli invitati come opinionisti a scaldare le sedie della RAI, in quelle trasmissioni che almeno a me fanno rimpiangere il denaro sborsato per il canone obbligatorio. Alla domanda della ragazza che chiedeva come potesse un esordiente avere la certezza di essere letto e valutato onestamente, il giornalista rispondeva con la solita spocchia di chi si sente in posizione one-up, dando anche dell’ignorante alla ragazza per aver scritto in una lingua colloquiale, che le case editrici non leggono perché quello che arriva è tutta robaccia.
Insomma il mestiere di scrivere è destrutturato e non prevede percorsi di apprendistato, la fortuna letteraria è la summa delle tre scimmiette, eppure nuovi scrittori vengono pubblicati ogni giorno. Dunque qual è il criterio della fortuna letteraria? Perché solo alcuni ci riescono e i più non vengono neppure presi in considerazione? Di sicuro l’aspetto economico è importante. Le case editrici sono aziende e devono sottostare alle leggi dell’economia aziendale. Va bene, lo capiamo. Passi pure che per questa valida motivazione in tutte le librerie troveremo Fabrizio Corona (Fabrizio chi?) in copertina. Tuttavia ci viene il dubbio che chi detiene il potere della Cultura (perché decidere che cosa i lettori possono leggere e cosa no è potere), mostri i muscoli e non lasci scampo all’alternativa, alla ricerca, alla sperimentazione (riuscite ad immaginarvelo un giovane Chuck Palahniuk che presenti il suo manoscritto in Italia?). In realtà qualcosa riesce a passare dalle maglie del setaccio, ma solo se chi lo fa si avvale di un portfolio togato, possibilmente una cattedra universitaria.
Per motivi di lavoro in passato mi sono avvicinato al mondo letterario quel tanto da conoscere scrittori e lavoratori dell’ambiente editoriale. Da quel che ho visto per diventare scrittore  ci sono solo tre strade. La prima è quella di essere presentato e raccomandato da un potente, la cui fama sia consolidata da tempo. A questa tipologia appartengono ovviamente anche le amanti e gli amanti e ad una sottocategoria gli amici e gli amici degli amici. Alla seconda categoria appartengono i professori universitari. Fate un rapido controllo e vedrete quanti sono. Ricordo di aver fatto parte di una giuria di lettori e di essermi dovuto sorbire un’ora di lezione di narratologia da un assistente (allora) universitario, il quale citava tutti quei testi che ogni studente di Lettere si è già dovuto sorbire, come se fossero perle di saggezza. Questa categoria è potente e si avvale di una rete di alleanze straordinaria. Alla terza appartengono i giornalisti. Per loro è gioco facile scrivere e trovare agganci per pubblicare. Questa potrebbe essere una delle porte di servizio per pubblicare e non ci sarebbe nulla da eccepire, considerato che per fare il giornalista devi conoscere la lingua italiana, avere una buona cultura di base e superare anche un esame. Quello che però a me lascia un po’ perplesso è che lo stile del giornalismo di oggi diventa sempre più standardizzato e la lingua è così tanto filtrata da far sembrare gli articoli dei giornali tutti uguali o scritti dalla stessa persona. Magari in futuro useremo dei giornalisti robot. Naturalmente esagero. Saprei riconoscere Gianni Riotta anche se non firmasse gli articoli. Comunque sia questo modo di scrivere, pulito e standard finisce per essere il paradigma su cui si basa il giudizio della scrittura di tutti gli altri e questo è purtroppo limitante. Così la lingua dello scrittore medio italiano è garbata, corretta come quella della maestrina dalla penna rossa, ma piatta e votata a far da spalla al contenuto.
Fioriscono siti che insegnano a scrivere. Ti suggeriscono di non mettere avverbi in mente, di non usare troppi che ecc. Mio dio ma io ho messo troppe parentesi! Insomma D’Annunzio non sarebbe mai passato e sì che lui ha scelto un’altra strada possibile: lo scandalo. Oggi per vendere libri si pubblicano sempre più colori sexy. I libri porno vanno di moda, ma vaccinati come siamo temo si leggano più per l’intrattenimento che per la curiosità morbosa e libidinosa di sapere di più sull’argomento.
In definitiva gli scrittori indipendenti esistono perché siamo entrati nel mondo digitale dove tutti possono dire tutto, ma anche dove ci si può democraticamente esprimere, dove se pensi di avere qualcosa da raccontare agli altri lo puoi fare, magari a patto di non aspettarti giudizi di valore.
Toc toc. Is anyone at home? Scusate la citazione. Morivo dalla voglia di usarla da qualche parte. Qualcuno ha qualcosa da dire in proposito? Non c’è da essere per forza polemici. E’ sufficiente portare la propria esperienza. Mi spiace di non poter esprimere la mia con nomi e cognomi, ma non mi sembra di aver scritto nulla che già non si sapesse. Vi aspetto.

La Casa delle Madri di Daniele Petruccioli

    Mi sono deciso a scrivere due righe su questo romanzo che mi ha immerso così bene in una realtà non mia e che mi ha tenuto lì sotto sino...