Sul Web
fioriscono ogni giorno siti di scrittura creativa per aspiranti
scrittori, come se non bastassero quelli che si possono frequentare con persone
reali, e sembra che tutti siano presi dalla mania di scrivere, mentre di
leggere non se ne parla. Falso. Ogni giorno fioriscono gruppi di lettura e sono
ancora in parecchi a leggere. Di nuovo c’è magari che con l’avvento di internet
i lettori vogliono dire la loro e lo fanno spesso in qualità di recensori o
frequentatori di blog, e così scrivono pure.
Gianni Riotta ci ha ricordato in un tweet recente,
probabilmente per lamentarsi della scarsa qualità dei romanzi in circolazione, che
si leggono troppi cattivi thriller invece di letteratura più impegnata. Beh,
Gianni, non c’è bisogno di ricorrere alla sociologia per capire che il fenomeno
è storico. Negli anni 50, con la guerra fredda, negli Stati Uniti e non solo,
pullulava la fantascienza per esorcizzare la paura dell’invasione dal pianeta “rosso”.
Oggi certa “paraletteratura” serve come
evasione e intrattenimento per menti disimpegnate oppure risponde ad esigenze
precise? La casalinga legge di feroci serial killer per esorcizzare la paura di
cosa potrà accaderle in metropolitana o mentre accompagna il figlio a scuola? Forse cerca solo un po' di sana catarsi per
scrollarsi di dosso la prevedibile quotidianità e per affrontare meglio
altre paure molto più concrete, come arrivare a fine mese. È pur vero che la
signora vive in un mondo dove i comportamenti paranoici sono la regola ma,
domandiamoci, quanta parte hanno i media in questa follia quando esasperano i
fatti sino alla loro mistificazione? Fate voi, ma tenete presente che i
comportamenti sociali di massa (oddio è piuttosto ottimistico associare la
parola massa all’universo letterario) non si producono per accidenti casuali.
Ad ogni modo questa era solo l’elefantiaca
premessa all’argomento del post che riguarda la tendenza a standardizzare la
scrittura creativa. Ripeto, la cosa che più ricorre nelle recensioni degli esordienti
sono le critiche sistematiche ai difetti linguistici e stilistici di chi non
segue un protocollo preciso.
Permettetemi un inciso. Quando ero ragazzo
guai a fotografare sfuocando, contrastando, a usare i toni alti ecc. Poi cresci
e ti rendi conto che i grandi fotografi se ne sono sempre fregati bellamente delle
regole e fanno quello che vogliono, purché il risultato lasci senza fiato o
abbia un senso estetico. Ecco nella letteratura è lo stesso: i grandi se ne
fregano delle regole. Ciò non giustifica, né autorizza, tutti gli altri a
credersi dei geni solo perché fanno come loro. Si tratta di un sillogismo
imperfetto e vale solo se si ha la consapevolezza di aver infranto le regole dopo
averle padroneggiate pienamente.
In rete ho rimediato un post firmato cosmopolitica
che riporto di seguito in quanto mi vede totalmente d’accordo. Sono sicuro che
io non avrei potuto pensare a niente di meglio. È il commento alla solita
lamentazione della mancanza di “professionalità” degli scrittori cosiddetti esordienti:
“Con questi
criteri utili ma generici, la maggior parte della grande letteratura che
leggiamo e a cui ci ispiriamo sarebbe rimasta nel cassetto, ignorata da lettori
e critici. Questi sono i consigli che si darebbero a chi deve scrivere un tema
a scuola o un racconto per una scuola di scrittura creativa. Il punto più esilarante
sono le interminabili descrizioni degli oggetti. Cosa significa? Mah... basti
pensare a un racconto di fantascienza: senza descrizioni che ricreano il mondo
funzionale sulla pagina, sarebbe impensabile mandare avanti la narrazione dove
sono funzionali anche le parti descrittive. E una fiction che punti sulla
creazione di un mondo attraverso uno stile peculiare, non so, tipo le
descrizioni in un romanzo come Vita di Pi? O il Castello di Kafka? Altra cosa
ridicola: usare pochi aggettivi e pochi avverbi: l’incipit di Absalom, Ablsalom!
di Faulkner ha ben cinque aggettivi che connotano il pomeriggio di Settembre
con cui si apre la narrazione: bellissimi, esagerati, evocativi. Il mio
suggerimento: leggere gli scrittori bravi e riscrivere, riscrivere, riscrivere.
La lingua è la base del romanzo. Senza un lavoro serio sulla lingua, meglio
darsi alla pubblicità, o al taglio e cucito, attività dignitose di certe opere
pubblicate oggi con lavori di editing a tavolino per livellare tutto come in
una catena di montaggio. Con buona pace per i dispensatori di consigli. E poi, è
mai possibile che i personaggi debbano essere sempre più ignoranti dei lettori?
Il bello della lettura (e della scrittura che la sollecita) è proprio il suo carattere
di sfida nei confronti del testo.”
Insomma i grandi
si permettono cose che i piccoli non possono fare, perché sarebbero sanzionati.
Questo che cosa vuol dire? Che lo scrittore sconosciuto debba scrivere secondo
uno stile omologato sino al giorno quando, diventato “importante”, anche lui potrà finalmente cominciare a
trovare la sua diversità, la sua strada, il suo stile? Un’assurdità, perché nel
mare magnum dell’indistinto chi potrà emergere sarà sempre chi sarà aiutato
dalla fortuna letteraria.
Mi vengono in mente il fiore nel deserto e la gemma
in fondo al mare che nessuno vedrà mai di cui parla Thomas Grey nell’Elegy. Per permettere ad alcuni di avere fortuna
certa è giusto rischiare di perdere per sempre i messaggi di altri? Non è forse
meglio che, come stanno le cose oggi, tutti abbiano democraticamente la
possibilità di gettare il proprio contributo, la propria testimonianza, nel mare magnum e lasciare che le cose vadano
come devono andare, perché non si sa mai cosa ci riserva il futuro?
Lo so, è un
po’ romantica questa visione del destino dei libri, però perché non consentire
a chicchessia di pubblicare i proprio pensieri e magari di sognare. Da
biasimare sono semmai coloro che sfruttano l’ingenuità, come gli editori a pagamento
e tutta una serie di nuovi ribaldi approfittatori che offrono servizi di ogni
tipo per alimentare questa sorta di fiera delle vanità.
Mi aspetto commenti pour parler e non per far polemiche. Ci aggiorniamo.
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