Da quando vado annusando cose letterarie su internet mi
trovo spesso di fronte all'espressione un po' spocchiosa: saper
scrivere. Certo ci sono delle regole che in linea di massima vanno sapute
perché sono la colonna portante della comunicazione verbale scritta, ma fare di
queste regole la medaglia al valore da appuntarsi al petto ogni volta che l'Ego
lo richiede, mi sembra eccessivo. Anzi mi ricorda l'atteggiamento un po' tipico
del liceale classico, il quale dopo aver preso tante batoste per delle
innocenti sviste ortografiche, non vede l'ora di beccare qualcuno in castagna
su quegli stessi errori per cui lui/lei ha preso quattro nel tema, perché si sa
che la violenza genera violenza.
Questi sadici che rigenerano frustrazioni adolescenziali si accontentano
di un'apostrofe per scatenare una fatwa contro lo scrittore ignorante. Visto
ormai il numero di qual'è che si leggono in giro, soprattutto in pubblicazioni
autorevoli scientifiche, non dubito che tra poco persino la Crusca interverrà a
nobilitare questa forma. Chissà allora i cultori della forma quale faccia
faranno! Confesso comunque che anche a me qual'è fa tremare i polsi. Quante ne
hanno dovute ingoiare poveretti, non ultima quel petaloso, per cui non il
bambino, bensì il politico sarà ricordato nei libri di Storia.
Tutto questo culto della forma però che noia! Ma non era
l'Hauser che diceva che dietro l'horror vacui delle facciate barocche si
nascondeva la paura del vuoto? Per fortuna la letteratura ama anche
l'esperimento e spesso privilegia il contenuto. Mi ricordo di un’abitante delle
favelas di Rio balzata alla notorietà letteraria per avere scritto, quasi
analfabeta, un libro che è diventato un best seller. Il fatto è che forma e
contenuto sono come il Tempo e lo Spazio. Funzionano in coppia. Per questi
ultimi però esiste l'unità fondamentale del cronotopo. Qual è (notare che l'ho
scritto come si deve) l'equivalente per la Forma e il Contenuto della
narrazione? Un bel dilemma! Riusciremo a dormire questa notte? Io sì e voi?
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